NON E' QUESTA LA RUSSIA
A.M.
In via Arbat. a Mosca non ci sono caffè all'aperto
dove sedersi un attimo per riprendere fiato, non ci sono aiuole colorate
a rallegrare le passeggiate curiose delle comitive di turisti in cerca
di chissà quale preziosa icona incorniciata in oro e non ci sono
nemmeno gli odori fritti degli hamburger di McDonalds o delle pizzerie
a taglio delle città occidentali.
A via Arbat, a Mosca, ci sono solo loro: i dollari, tanti,
tantissimi dollari americani scambiati di nascosto della polizia, tra comitive
di turisti in scarpe da ginnastica ed una miriade di ragazzini frettolosi
che si guardano continuamente attorno per paura di essere arrestati. Al
cambio, vecchie patacche dell'imperialismo sovietico, simboli di un regime
la cui rapida fine resta la migliore testimonianza storica della sua vacuità,
dell'odio e del rancore nei suoi confronti della maggioranza del popolo
russo.
La CSI si trova oggi nelle condizioni di E.T. che, sceso
sulla Terra, non si vuol decidere a smetterla di spiare gli umani, gli
occidentali, che tenta di assomiliargli ma che naufraga in un mare di insuccessi
e di sconfitte. All'alba della perestrojka in molti, soprattutto Gorbaciov,
pensarono davvero che dal torpore di decenni di oppressione comunista fosse
possibile svegliarsi così, sic et simpliciter, come da un brutto
sogno. In realtà lo spirito della cultura nazionale russa si era
arreso da tempo alle liturgie dell'apparato di partito, ai trionfi di un
collettivismo di massa che era omologazione delle coscienze, alla umiliante
e criminale standardizzazione sovietica dell'antica, profonda, intensa
ed affascinante storia culturale di un popolo dalle radicate matrici religiose
ed intellettuali. La spiritualità russa, di cui ci si inebria nella
spettacolare architettura delle cupole dorate di San Basilio nella Piazza
Rossa, l'epopea imperiale che è tutta nella profondità dello
sguardo di Pietro il Grande che risalta dai moltissimi dipinti a Pietroburgo,
soprattutto l'Hermitage, che non è solo il museo più vasto
del mondo, ma è il crogiolo dell'incontro culturale tra l'Europa
e l'Oriente negli ultimi tre secoli: tutto questo, per oltre settanta anni
fu volutamente relegato dai Soviet nel passato da dimenticare, nella lotta
al potere zarista, nel fratricidio menscevico, nelle purghe staliniste
e nei Gualag della Siberia.
Da quando questa specie di padri putativi di una grande
nazione furono travolti dai loro stessi eccessi, le nonne russe dal volto
incorniciato da logori fazzoletti hanno ripreso a cantare vecchie nenie
ortodosse nelle chiese, senza più timore di essere arrestate. Solgenietzin
si ritrova sulle bancarelle dei librai accanto a Pusldn, le guardie in
alta uniforme davanti al mausoleo di Lenin non scandiscono più il
tempo ogni ora, con passo sincrono. Solo i giovani figli di una generazione
destinata a chissà quale missione apologetica contro il capitalismo
occidentale, non seguono il richiamo di un passato di cui, d'altra parte,
non hanno neppure sentito parlare. Si ritrovano soli, abbandonati ad un
destino duro di disoccupazione o di delinquenza, senza alcun valore nazionale
da difendere, senza un sogno comune se non quello di arricchirsi in fretta
ed abbandonare il paese prima possibile.
Cosi via Arbat, a Mosca, è oggi piena di
giovani commercianti improvvisati che per non morire di fame hanno smesso
di studiare al Politecnico o all'Accademia Militare dell'Armata Rossa e
che si illuminano in volto quando cambiano due dollari per una tessera
inutile del KGB, quando si liberano della divisa, con tanto di medagliette,
in cambio di una stecca di sigarette americane, quando rifiutano quasi
offesi un invito a cenare in albergo, perché non tollerano lo spreco.
Zhirinovskij, il duro, ha mietuto facili successi tra
questa gente disperata che, paradossalmente, vorrebbe essere quella di
prima perché incapace di essere quella di domani.
Cemomyrdin, potente primo ministro in carica, lo sa, ed
ogni tanto accontenta il nostalgico di una politica che non era scelta
ideologica ma semplice abitudine di vita. Korzhakov, capo delle guardie
del corpo di Boris Eltisn, conquista sempre più il potere politico
militare che fu dei ribelli del '92 e che naufragò nell'assedio
al palazzo della televisione.
Una TV dove, nonostante gli sforzi degli investitori stranieri
del calibro della Hitachi, dalla Sony o della Pepsi, la pubblicità
occidentale, in particolare quella della Coca Cola, non ottiene risultati
apprezzabili perché i Russi sono legati ai loro ambienti, ai loro
abiti, ai loro stereotipi di vita. Ma è la stessa TV dove la pubblicità
di un vecchio e simpatico ubriacone e di una coppia di pensionati, ha consentito
alla MMM di Mosca di truffare decine di milioni di risparmiatori per miliardi
negli ultimi due anni.
Cosi è la Russia di oggi, dove i famosi balletti
russi sono apprezzati dai turisti americani solo quando intonano delle
orribili scenografie di cavalcate western in abiti cosacchi, dove i Perioska,
i negozi all'occidentale, che mostrano prezzi da salario annuale per un
lavoratore russo, sono anche i più frequentati dalla malavita che
si vede scorrazzare in Porsche e Ferrari per le vie dei centro.
Non è questa la Russia che noi uomini di destra,
occidentali e cristiani, possiamo amare e riconoscere come nostra sorella
di cultura e di sangue, nella comune tradizione di civiltà dei popoli
europei. Non è questa la Russia che abbiamo auspicato, se conclude
il suo riscatto dalla barbarie comunista e sovietica prostrandosi davanti
a un materialismo peggiore del precedente, che è quello dell’accaparramento.
Non è la Russia dei night-club di Mosca, delle
giovani donne che sposano ottantenni danarosi, della mafia che detta ordini
alla polizia, degli ubriachi che scorrazzano nelle metropolitane, che rispettiamo.
E' quella della povertà portata con decoro e silenzio,
quella dei vecchi eroi della Rivoluzione che nel PCUS non hanno mai avuto
accesso, ma che ancora ostentano con fierezza un petto pluridecorato e
piangono come ragazzini alle cerimonie pubbliche. La Russia dell'onore
e dell'etica, la Russia della storia e della tradizione: quella che è
anche per noi la nostra Patria.
NUOVO FRONTE N. 158. Novembre 1995. (Indirizzo e telefono:
vedi PERIODICI)
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